Il confine tra economia selvatica e domestica era assai meno rigido di quanto si possa credere, e la linea si spostava in base alle esigenze della comunità.
L’alimentazione selvatica, molto diffusa nel Medioevo, richiedeva un’accurata conoscenza del territorio e attenzione agli insegnamenti di chi lo abitava: pastori, boscaioli o cacciatori erano i custodi del sapere del bosco.
La cultura dell’orto, di vitale importanza nell’alimentazione e nella farmacologia, s’innestava nella lunga frequentazione del mondo vegetale spontaneo. Anche per gli animali, specie che oggi non esitiamo a pensare domestiche esistevano anche allo stato brado. Con il passare dei secoli, la valorizzazione produttiva e alimentare delle piante coltivate e degli animali domestici diventò più forte a scapito della dimensione selvatica.
La nascita delle città fu il segno del definitivo cambiamento del modo di affrontare il problema cibo, dove l’abbondante domanda di “civiltà” fece relegare ai margini i valori di “naturale” e “selvatico”, dando così il via al grande boom della “produzione”.